Le monete da 100 lire, 50 lire, 20 lire e 10 lire in oro del tipo "Italia aratrice", datate 1926 e 1927, furono prodotte, in numero limitato, appositamente per i numismatici [MdF 1940, p. 42, tab.] e, pur avendo corso legale, non furono destinate per la circolazione in quanto, negli anni in cui furono emesse, il valore intrinseco dell'oro che le compone era quasi quattro volte superiore al loro valore nominale. Infatti, occorre considerare che in quegli anni era ancora in vigore la Convenzione monetaria latina, di cui il regno d'Italia faceva parte, la quale prescriveva che le monete in oro da 100 lire dovevano avere il peso legale di 32,25806 grammi, il titolo di 900 millesimi ed il diametro di 35 millimetri; quelle da 50 lire il peso legale di 16,12903 grammi, il titolo di 900 millesimi ed il diametro di 28 millimetri; quelle da 20 lire il peso legale di 6,45161 grammi, il titolo di 900 millesimi ed il diametro di 21 millimetri; infine, quelle da 10 lire il peso legale di 3,2258 grammi, il titolo di 900 millesimi ed il diametro di 19 millimetri. Tuttavia, negli anni in cui si è combattuta la prima guerra mondiale ed in quelli successivi, il prezzo dell'oro era notevolmente aumentato, tanto da non consentire la coniazione di monete, in quel metallo, con le caratteristiche consentite. Successivamente, in forza del RD 2325/1927, si provvide ad emanare le norme atte alla stabilizzazione della lira, le quali prescrivevano che la nuova parità aurea fosse fissata in ragione di un peso d'oro fino di 7,919 grammi per ogni 100 lire italiane [MdF 1940, p. 43]. Questo decreto, ci aiuta a comprendere il valore dell'oro in quel periodo; infatti, fatti i debiti conteggi, risulta che le monete del peso di 29,032 grammi di oro fino (100 lire), quelle di 14,516 grammi di oro fino (50 lire), quelle di 5,806 grammi di oro fino (20 lire) e, infine, quelle di 2,903 grammi di oro fino (10 lire), valevano, al netto delle spese di produzione e della lega in esse contenuta, rispettivamente 366,589 lire, 183,295 lire, 73,318 lire e 36,658 lire.
Per effetto della L 788/1862, i privati conservavano la facoltà di richiedere dalle zecche dello Stato la coniazione di monete d'oro, del nuovo sistema, pagando, secondo quanto stabilito dal RD 370/1861 quale diritto di coniazione, 7,44444 lire per ogni chilogrammo di oro fino lavorato; cosiché, l'oro fino monetato, dedotti i diritti di coniazione, veniva ad avere il valore di 3.437 lire al chilogrammo. Pertanto, il valore intrinseco delle monete d'oro era di 3.444,44444 lire al chilogrammo. Tuttavia, pur rimanendo valide le succitate norme e tariffe, sotto il regno di Vittorio Emanuele III la fabbricazione libera delle monete d'oro fu soggetta a disposizioni interne e regolata secondo le contingenze del Tesoro e delle lavorazioni di zecca, rimanendo di fatto virtualmente sospesa [Carboneri 1915b, pp. 299-300, 482, 843], per poi riprendere dal 1931 al 1938, anni in cui le monete d'oro furono coniate esclusivamente per conto di privati che, oltre a fornire il metallo, pagarono alla zecca la nuova tariffa per il diritto di coniazione di 22 lire per ogni chilogrammo di oro lavorato [MdF 1940, pp. 44, 46, 55, tab. B1, nota].
Le monete da 10 lire in oro, del tipo "Italia aratrice", furono coniate dal 1910 al 1927, complessivamente, in 12.068 pezzi, per un totale di 120.680 lire, compresi i 5.202 pezzi del 1910 successivamente ritirati e rifusi eccetto uno [Carboneri 1915b, pp. 842-843, tab. A1; MdF 1940, pp. 42, 47, tab., tab. A1].